lunedì 5 gennaio 2009

La caciotta amatissima


Le vacche sono di razza Reggiana, quelle rosse che danno il latte per fare il Parmigiano-Reggiano delle vacche rosse, ma qui sono in una stalla pulita e ordinata dell’Appennino Piacentino.
“Le ho tolte dall’iscrizione all’albero genealogico quando ho ceduto le quote latte. Ora sono le mie, ci ricavo il latte per i miei formaggi.” Così è cambiata, per l’ennesima volta, la vita di Ivano Dadomo, un contadino di 58 anni con doppia cittadinanza italiana e francese, dai lineamenti forti del viso, gli occhi cerulei, una forte inflessione francese nel suo modo di parlare.
Sono in una piccola località dell’Appennino piacentino, ai confini con la monagna parmense dove fino a pochi anni fa i camion della grande industria alimentare passavano a ritirare il latte.
“In questa area c’erano oltre oltre ottocento vacche da latte – racconta Bastianino Mossa, un veterinario di origini sarde che dedica al suo lavoro “quella passione senza la quale non si può fare nulla di grande al mondo”, come diceva il filosofo Hegel, su cui torneremo – Ora ne sono rimaste duecentocinquanta. In questa stalla ce ne sono diciasette, in gran parte le ho fatte nascere io e Ivano le alleva con una cura meticolosa.”
Con i miei occhi posso testimoniare cosa sia l’amore per questi animali. All’alba la mungitura a mano di tutte, seduto su un rudimentale sgabello che farebbe impazzire i designer di mezzo mondo: un cestello di plastica rossa per i bottiglioni di vino delle Cantine Riunite capovolto, ricoperto con una stoffa chiara come cuscino e legato con lo spago per renderne agevole lo spostamento tra una mucca e l’altra.
Al termine della mungitura il latte viene portato in una stanza per preparare le caciotte. Mani sapienti che hanno imparato i segreti per fare un buon formaggio solamente tre anni fa, quando Ivano scelse di cedere le quote latte ma di non vendere le sue mucche. Mani raffinate che sembrano uscite da un istituto di bellezza. “E’ il latte e il siero in cui lavorano tutte le mattine” confessa Ivano consapevole di rivelare un segreto che potrebbe essere carpito da qualche guru del beauty.
Ma a chi vende quelle caciotte? chiedo a Bastianino mentre lasciamo l’azienda e un paesaggio costellato da case di sasso antichissime e in gran parte abbandonate. “A chi sa che c’è Ivano” mi risponde. Un’ulteriore conferma di essere stato protagonista di un’alba straordinaria che mi ha permesso di conoscere un personaggio che ha coltivato uno stile di vita che, se praticato da molti, salverebbe il mondo dal disastro consumistico ed ambientale. Una vita ordinata, a costo zero, dove l’unico lusso è una televisione satellitare per restare in contatto con le notizie del mondo e un lavoro che ti concede il tempo di rielaborare i fatti e le notizie.
“Ho deciso di riprendere la cittadinanza italiana a cinquant’anni, dopo che ho avuto la certezza che non sarei stato richiamato sotto le armi. – racconta Ivano mentre lava la mammella di una Reggiana (chi mai fa più una cosa del genere?) prima di farvi attaccare il vitellino per una poppata che lo rende sazio e felice – Oggi posseggo due patenti e due carte d’identità, voto per due stati e quindi devo informarmi di cosa succede in questa Europa e nel mondo.”
“Ma soprattutto devo fare in modo, con il mio lavoro, che la natura possa continuare a seguire il suo percorso.” L’esempio del vitellino ci aiuta a capire il significato di queste parole.
Attaccare il vitellino alle mammelle come un tempo permette di mantenere la posizione corretta, decisa dalla natura, che consente al latte deglutito di finire nella parte giusta delle quattro dello stomaco della bestia, evitando contaminazioni con altri elementi; in tal modo viene garantita la crescita sana della bestia.
Quelli di Ivano sono vitelli allevati solo con il latte perchè oggi il consumatore chiede carne chiara e quindi niente erba, niente alimenti artificiali. Quando non mangiano i vitellini hanno la museruola per evitare che possano ingurgitare altre sostanze o che entrino in contatto con eventuali microbi.
Basta toccarli questi vitelli mansueti per capire come diventeranno robusti: pelo caldo, muscoli sodi, vita tranquilla grazie alla serenità che il loro padrone gli trasmette.
“Ivano è rimasto uno dei pochi che hanno scelto di rimanere a vivere e lavorare in queste montagne – mi racconta Bastianino il veterinario – Quando ha ceduto le quote latte ha preso un importo con cui non si sarebbe comprato neppure una Panda usata. Per persone così io voglio lavorare. Persone che salveranno la terra dal disastro ambientale, che manterranno viva la memoria e le tradizioni, fondamentali per la nostra identità.”
Per questi contadini Bastianino si è fatto promotore di un concreto progetto di riqualificazione: un centro unico per la raccolta del latte dell’Appennino piacentino che ha già un suo centro di imbottigliamento e commercializzazione del latte a marchio piacentino. Un’altra delle sue iniziative ha dato vita al primo Grana Padano biologico, senza isozima, fatto solo con il latte dell’Appennino piacentino. Eccola la passione hegeliana; ma di questi progetti parleremo ancora, in altri articoli.
Siamo ormai a metà mattina e Ivano deve fare le pulizie della sua stalla, piastrellata, con l’icona di Sant’Antonio abate su cui è sempre acceso un lumicino a tutela e protezione delle sue vacche rosse, tenute come vacche sacre. Non so come siamo arrivati a parlare di De Gaulle, “una persona che quando parlava “la fava tramla anca al foi” (faceva tremare anche le foglie), così sintetizza Ivano, in bel dialetto piacentino con la erre francese, la statura del presidente francese di quando lui viveva a Parigi.

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